Alcuni aspetti tecnici e controtransferali a proposito del principio di astinenza
F.Baudry

Lo scopo primario del rapporto analitico è creare un clima in cui il lavoro analitico possa essere svolto, creare, cioè, una situazione in cui possa esserci dialogo con il paziente per interpretare i conflitti inconsci che interferiscono con l’adattamento nel contesto di una relazione di tipo molto speciale e unico. I pazienti più nevrotici, ossia quelli più sani, possono lavorare con la maggior parte degli analisti e tollerare un ragionevole grado di neutralità e di astinenza, anche se quest’ultima viene alla fine posta dal paziente al servizio delle tendenze masochistiche.
La sfida sorge quando si ha a che fare con pazienti meno integrati. Esistono dei requisiti particolari che devono essere soddisfatti prima di stabilire un vero dialogo? Mantenersi semplicemente fedeli al proprio approccio per paura di contaminare il transfert come ho fatto io in uno degli esempi riportati, mi appare oggi, in retrospettiva, una scelta carente. Le esigenze del metodo non dovrebbero venire prima dei bisogni del paziente, ma nemmeno bisognerebbe dare per scontato che allontanarsi dal proprio atteggiamento analitico agevoli necessariamente gli scopi a lunga scadenza della terapia. La nostra non è chiaramente una scienza esatta, e l’arte dell’interpretazione dipende da molti sottili fattori che sfidano la codificazione, anche se noi potremmo essere in qualche misura d’accordo sui principi generali che governano il nostro lavoro.
Come sottolinea Lipton (1977), è molto difficile concettualizzare la tecnica analitica senza prendere in considerazione la personalità dell’analista che naturalmente varia da persona a persona. Sfortunatamente non esiste la risposta giusta definitiva sulla gestione ottimale di un caso. La strategia che ciascuno di noi segue è, come ho indicato, una funzione della nostra formazione teorica, delle nostre preferenze stilistiche e caratteriologiche, della nostra flessibilità e della nostra comprensione delle dinamiche di ciascun caso. Ogni terapeuta disporrà, è auspicabile, di una serie di approcci diversi e li applicherà nel modo che giudicherà più opportuno. Ho imparato molto dalla mia collaborazione con e dall’insegnamento dei Kleiniani contemporanei e sono diventato più sensibile alla possibilità di interpretare gli scenari delle relazioni oggettuali che vengono recitati nel transfert. L’idea che esista un atteggiamento migliore e che tutti gli altri siano di seconda scelta fa parte della nostra mitologia. Eppure ciò non significa che tutto funziona perché la nostra tecnica è governata da una serie di parametri e di principi fondamentali per la nostra teorica della tecnica.
Tra la teoria e le sue applicazioni c’è spazio per una complessa serie di fattori che giocano un ruolo nel determinare l’approccio clinico. Ho cercato di evidenziare alcuni di questi fattori generali nel mio scritto sullo stile nella situazione analitica: il training, il senso di appartenenza, le considerazioni politiche e culturali, l’esperienza della propria analisi personale e il perdurare del transfert inanalizzato, i valori, il livello di comfort e quant’altro.
L’autentica empatia permetterà all’analista di identificare gli stati primitivi di bisogno che non possono essere trattati cercandone il significato simbolico, ma che richiedono al contrario una complessa miscela di verbalizzazione significativa, contenimento e ricostruzione. Ciò richiederà uno sguardo molto più attento al modo in cui il paziente affronta gli affetti quasi ingestibili.