Tra ricordo e destino: la ripetizione
Norberto Carlos Marucco

Questo articolo si concentra principalmente sul concetto di ripetizione (agieren), nella sua accezione metapsicologica, clinica e tecnica. Il nucleo della problematica considerata consiste nella questione del rappresentato, del non-rappresentato e dell’irrapresentabile nella psiche. Questo problema evidenzia a sua volta il rapporto dialettico fra pulsione e oggetto e la sua relazione specifica con il trauma. L’autore attribuisce un significato speciale alla sua emergenza, in campo clinico, nella nozione di “destino”. Fa notare il passaggio, nella teoria della cura, dal ricordare e lo svelare il desiderio inconscio alla possibilità di capire la ripetizione “pura”, che costituirebbe la vera essenza della pulsione.
L’autore sottolinea tre tipi di ripetizione: quella rappresentativa (edipica), quella del non-rappresentato (narcisistica), che può acquisire rappresentazione, e quella dell’irrapresentabile (impressioni sensoriali, esperienze primordiali, significanti prelinguistici, tracce mnestiche ingovernabili). Il concetto-metafora di embrione pulsionale porta l’autore a trattare la questione dell’arcaico in psicoanalisi, in cui si esprimerebbe la ripetizione in atto. “Un altro inconscio” nasconderebbe con zelo il “sotterrato” (verschüttet) non ancora passibile di descrizione – l’intimo più recondito piuttosto che il “sepolto” (untergegangen) o l’annichilito (zugrunde gegangen) – mediante un meccanismo il cui modo di espressione è la ripetizione nell’atto. Partendo dalle costruzioni in analisi, l’articolo suggerisce strumenti tecnici diversi da quelli della costruzione freudiana, che si concentrano invece su ciò che emerge nel presente del transfert come ripetizione di un “qualcosa” che manca in quanto storia. La memoria del processo analitico apporterebbe una diacronia storica, in cui una temporalità libera da ripetizione e assolutamente singolare possa esprimersi nel corso dell’analisi. Tale diacronia sarebbe allora non più la ricostruzione storica della verità materiale, bensì la costruzione di qualcosa di nuovo. L’autore introduce brevemente alcuni aspetti della propria concezione della psiche e del lavoro terapeutico nei termini di quelle che egli definisce le “zone psichiche”. Tali zone sono associate a vari modi del divenire inconscio e coesistono con diversi gradi di prevalenza a seconda della psicopatologia. Eppure ognuna di esse emergerà con caratteristiche diverse in diversi momenti di ogni analisi, determinando in tal modo sia le posizioni dell’analista che le condizioni stesse del campo analitico.
La zona della pulsione di morte e della ripetizione si trova al centro dello studio. La ripetizione “pura” esprimerebbe una temporalità bloccata dalla costante reiterazione di un presente atemporale. In questo caso la “via regia” per l’espressione di “quel” particolare inconscio sarà l’atto. La presenza dell’analista e della sua personale posta pulsionale sarà fondamentale nell’apportare un ultimo tentativo di legatura che consenta la creazione del “tessuto psichico” perduto e la costruzione, in modo congetturale, di un certo qual tipo di storia che servirà a svelare gli elementi sotterrati che, nel caso di questi pazienti, emergono nell’atto. La “pura” ripetizione dell’analizzando tocca, fa vibrare nuovi elementi inconsci dell’analista.
Tutto ciò porta l’autore a sottolineare una volta di più l’importanza dell’autoanalisi e della rianalisi, che consentano all’analista di trovare nuovi nessi e, soprattutto, di distinguere ciò che gli appartiene da ciò che appartiene all’analizzando. Un certo grado di mancata legatura garantisce la preservazione di elementi inafferrabili che proteggano l’uno dall’essere spodestato dall’altro.