Autoritratto, io narrante e rappresentazione di sé
Simona Argentieri

L’interpretazione dell’autoritratto con gli strumenti psicoanalitici è molto invitante, molto ricca, apparentemente troppo facile. L’assunto basilare che l’opera rispecchi l’animo del suo creatore – da Platone a Leon Battista Alberti – merita una discussione. Un autoritratto, infatti, può esprimere in primo luogo gli aspetti espliciti culturali, consci dell’Io; mentre i tratti più segreti della personalità possono essere celati altrove, in altre figure umane e non umane, nel paesaggio o nell’astrazione delle immagini. La cosiddetta modernità coincide, come è noto, con la destrutturazione della forma (interessanti correlazioni possono essere delineate con la letteratura); nel volto del pittore irrompono le perturbanti parti rimosse, scisse, proiettate e reintroiettate di sé, in una deriva che sembra irreversibile. L’integrazione tra gli aspetti visuali e non visuali, simbolici e presimbolici della rappresentazione di sé, la discrepanza tra ciò che si sente e ciò che si vede, è il dramma creativo di ogni artista di tutti i tempi. Un dramma al quale la psicoanalisi ha fornito lo scenario emotivo e le parole per pensarlo e comunicarlo a sé ed agli altri a livello di coscienza.