Si è svolto a Trieste dal 27 al 29 giugno il quarto incontro della Conferenza Internazionale Thinking on the Border sul tema (IN) SANITA’ E DISTRUTTIVITA’. Il convegno, organizzato dalla Società Psicoanalitica Italiana e dall’Associazione 9 . Italiana di Psicoanalisi, insieme ad altre società analoghe dell’Europa Centrale e sud-Orientale è stato aperto dall’introduzione del Presidente della SPI Ronny Jaffè che, in accordo con il “Pensare sul confine”, ha presentato una ricostruzione storico-politica della città e del senso dell’ospitalità in un luogo di passaggi e trasformazioni.
Il convegno si è articolato in tre sessioni plenarie e panel paralleli di discussioni teorico-cliniche in piccoli gruppi; nella seconda giornata al termine dei lavori è stata proiettata la prima parte del film “C’era una volta la città dei matti (diretto da Mario Turco)” cui è seguita la visita all’ex Ospedale Psichiatrico di Trieste ciò che ha permesso una partecipazione anche emotivo-affettiva alla tavola rotonda conclusiva.
La prima plenaria si è svolta con la presentazione del lavoro di Sarantis Thanopulos (Italian Psychoanaltical Society) dal titolo “La banalità del male: l’agire anaffettivo” discusso da Jan Abram (British Psychoanaltical Society). Il lavoro si articola in cinque punti, esplorando altrettanti livelli: Pulsione erotica e pulsione di morte, Sanità e insanità nella condizione umana, La “malattia mentale” e la società normativa, La società attuale e il ritorno tra di noi della “banalità del male”, Le due forme della sofferenza e l’azione anaffettiva. L’Autore ha così sottolineato la complessità del tema trattato che, pur mantenendo il vertice psicoanalitico, non può che intrecciarsi con aspetti antropologici e filosofici, lasciando interrogativi aperti alla discussione con la sala. Il commento di Jan Abram al lavoro di S. Thanopulos ha riportato i cinque punti della discussione al trauma psichico precoce alla base di ogni mente criminale: “L’azione malvagia o crudele costituisce un atto antisociale e patologico che proviene dallo stato mentale profondamente psicopatologico dell’individuo che ha subito gravi danni nella propria infanzia”. Secondo J. Abram la psicoanalisi ci offre una comprensione approfondita di come e perché l’essere umano commette dei crimini.
La seconda plenaria ha visto la presentazione del lavoro di Ferhan Ozenen (Instanbul Psychoanaltical Society) dal titolo “Under pressure: il terrore di sapere come va questo mondo” discusso da Maria Chatziandreou (Hellenic Psychoanaltical Society). Il titolo del lavoro richiama il celebre brano frutto della collaborazione tra i Queen e David Bowie, in cui le divergenze creative portano ad un risultato eccellente. A partire da queste premesse l’Autrice si è soffermata sulle complesse interrelazioni tra salute mentale, cultura, identità e religione discutendo alcune vignette cliniche suggestive, come una richiesta di aiuto “velata” in cui lo spazio condiviso tra analista e paziente si interfaccia con lo spazio tra la paziente e il suo velo. Fa inoltre un’ampia disamina del femminile attraverso il mito di Atena e Medusa. Nel commento al lavoro M. Chatziandreou riprende le diverse possibilità che possono verificarsi nell’incontro tra due soggetti: la paura che tale incontro possa non essere possibile e che invece possa verificarsi una catastrofe e, la possibilità di un incontro autentico tra due soggettività. Questo è reso possibile solo attraverso l’accettazione delle differenze reciproche e della costruzione di un rapporto basato su tali differenze, e produce un’opera che contempla la realtà esterna, il terrore di sapere cosa sia questo mondo e come gli esseri umani possano sentirsi al suo interno.
Il convegno è stato chiuso dalla tavola rotonda con gli interventi di Paolo Fonda (Italian Psychoanaltical Society), Ettore Jogan (Italian Psychiatrist), Mario Colucci (Italian Psychiatrist).
P. Fonda ne “Una lettura psicoanalitica di alcuni aspetti dell’esperienza psichiatrica di Trieste” ripercorre la sua esperienza tra la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico e l’apertura dei Centri di Salute Mentale territoriali. Nel suo lavoro mette a fuoco il mito della pericolosità connessa alla malattia mentale mettendo in evidenza quanto il livello di aggressività fosse direttamente correlato con un ambiente coercitivo. Da questo aspetto cruciale partono le riflessioni dell’Autore su alcuni aspetti psicoanalitici: “Il Sé dei malati, già fragile a causa della loro patologia originaria, non riusciva ad opporsi a queste violente identificazioni proiettive e finiva con l’identificarsi con l’immagine inseritagli dall’ambiente”. Secondo un’ottica Winnicottiana il bambino e il “pazzo” percepisce ciò che l’ adulto si aspetta da lui e questo si innesta sulla sua naturale spinta alla crescita e allo sviluppo. P. Fonda richiama un lavoro di Silvia Amati Sas del 2004 sul trattamento di una donna che aveva trascorso un lungo periodo in un campo di prigionia, assimilabile alla realà manicomiale, istituzioni totali violente che espongono a siuazioni traumatiche ripetute, dove una parte della stessa sintomatologia, può essere il risultato di un negoziato-concordato con la madre-istituzione.
E’ seguito l’intervento di E. Jogan dal titolo “Ripensando il lavoro con il prof. Franco Basaglia” anche in questo caso una ricostruzione storica dell’esperienza personale di giovane psichiatra che si cimentava con il lavoro di chiusura dell’ospedale Psichiatrico di Trieste. Jogan sottolinea che Basaglia ha introdotto due nuovi paradigmi nella pratica psichiatrica: il concetto di persona rispetto al concetto di malato e l’importanza della esperienza di vita delle singole persone nella costruzione del disagio psichico. Egli mette l’accento sul punto che la legge di riforma psichiatrica ha spostato il focus dalla tutela della società rispetto al diverso, folle, disturbante alla tutela della persona “diversa” ai cui comportamenti bisognava restituire il senso attraverso una profonda comprensione. Questi aspetti del pensiero Basagliano, secondo l’Autore, incontrano la psicoanalisi e la sua metodologia di ricerca che indaga e cerca di scoprire significati inconsci al di là delle manifestazioni evidenti di superficie. Di contro gli aspetti più socio-genetici se ne allontanano essendo la psicoanalisi concentrata prevalentemente sul mondo interno della psiche e la psichiatria Basagliana sul mondo esterno. Per modificare gli aspetti socio-genetici lo psichiatra doveva scendere in campo, stare terapeuticamente al fianco del paziente e fare, al contempo, una lotta sociale e politica per cambiare le cose. Questo atteggiamento era in netto contrasto con l’approccio psicoanalitico di neutralità, di astinenza, necessari per favorire l’emergenza del mondo interno. Jogan conclude il suo intervento con una domanda: le nuove acquisizioni e conoscenze in psicoanalisi renderebbero possibile un maggiore avvicinamento e una maggiore collaborazione con il prof. Basaglia, se fosse in vita oggi?
L’intervento di M. Colucci, conclusivo della tavola rotonda, “Il gesto terapeutico di Franco Basaglia tra clinica e politica” definisce il gesto terapeutico di Basaglia come un pendolo che oscilla tra clinica e politica, una clinica della negoziazione, che si fonda sempre sul rispetto della parola dell’altro e propone una ricerca rigorosa di un percorso di risoluzione della crisi e di cura della persona sofferente nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti. Ricollegandosi al titolo del convegno l’Autore riporta il concetto di confine alla sottile linea che separa la vita e la morte. Egli ripercorre le terapie shock praticate nel mondo fondate sull’idea che per ottenere la guarigione bisogna portare il malato ai confini della vita. “Come scrive Terzian, neurologo, fraterno amico di Franco Basaglia, queste tecniche sono basate sulla provocazione delle convulsioni, del coma e hanno in comune la prefigurazione della morte, il far vivere la morte, il far vivere l’agonia, l’esperire il momento del trapasso tra la vita e la morte, l’esperire l’annullamento, l’annichilimento”. Colucci mostra come Basaglia adotti un punto di vista fenomenologico, di epochè, quindi di sospensione del giudizio, sospensione del discorso organicista e biologista della psichiatria positivista. Chi detiene l’ordine del discorso non è più lo psichiatra ma l’”internato”: restituire il diritto alla salute mentale significa restituire il diritto a esprimere il proprio dissenso, a criticare la misura della norma che omologa in un modello unico di salute. Colucci considera l’istituzione manicomiale come luogo di rimozione degli scarti del pensiero paranoico della società, che localizza fuori di sé tutto il negativo per ritrovare un compenso provvisorio alle proprie tensioni interne. In questa lettura ritrova l’insegnamento della psicoanalisi, come ammette lo stesso Basaglia, citando Melanie Klein e la posizione schizo-paranoide nei suoi Scritti. E conclude con un’ampia disamina dei concetti di paranoia e ambivalenza che sarebbero alla base dell’esclusione di ogni forma di diversità.
Fulvia Grimaldi psichiatra
Psicoanalista AIPsi/I.P.A e segretaria AIPsi Direttrice UOSM 27/28 e 32/33 Asl 1 Napoli Centro