REPORT DEL CONVEGNO ”DESIDERIO SENZA LIMITE – CONFINE CULTURALE FITTIZIO”
Centro Napoletano di Psicoanalisi
Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Complesso di Santa Maria La Nova – Napoli
30 novembre -1° dicembre 2024
Il Convegno si è svolto nella bella sala monumentale del complesso di Santa Maria La Nova nell’intera giornata di sabato e la domenica mattina con la presentazione di nove relazioni sul tema del desiderio.
Ha aperto i lavori Sarantis Thanopulos, Membro Ordinario con Funzioni di Training SPI-IPA, Presidente della SPI, con una relazione dal titolo: “Il conflitto tra desiderio e bisogno”. Il lavoro ha ruotato intorno al desiderio come dimensione capace in sé di auto-organizzazione, dunque di auto-limitazione, in quanto da sempre intrinsecamente relazionale; e alla condizione legata alla frustrazione o all’assenza del desiderio che spalanca invece le porte all’assenza di soggettivazione, il regno del puro registro dei bisogni con conseguente perdita della responsabilità. Piuttosto che preoccuparci, suggerisce l’Autore, dell’evaporazione del padre, preoccupiamoci dell’evaporazione di Eros dalla coppia genitoriale. Secondo l’Autore alla base dell’Eros vi è il conflitto vitale. La comprensione del conflitto in generale e della sua degenerazione in particolare rimanda alla distinzione tra bisogno e desiderio, due logiche opposte nell’essere umano che corrispondono alle due forze naturali che lo abitano: la pulsione della conservazione e la pulsione erotica. Nel campo del bisogno si insegue l’eliminazione delle tensioni spiacevoli secondo un modello omeostatico di funzionamento: il ritorno allo stato psicofisico precedente. Avendo come obiettivo il sollievo, l’azione legata al bisogno non produce di per sé il senso soggettivo di un’esperienza, né riconosce l’altro nella sua soggettività. Il desiderio insegue una direzione opposta: la persistenza delle tensioni sensuali psicocorporee che lo fanno nascere e i loro cambiamenti di ritmo, di ampiezza e di intensità che lo allontano dall’assuefazione. Rifugge il calcolo, ama l’inatteso e la sorpresa, insegue la scoperta. Trasforma la materia psicocorporea di chi desidera, allontanandola da un assetto costante e predefinito. Il suo appagamento resta insaturo, aperto: produce un vissuto di presenza in sé e nel mondo che, espandendosi nello spazio e nel tempo, crea il sentimento della “dolcezza di vivere” e il senso di esistere veramente. Thanopulos pone l’accento sul rispetto dell’idioma dell’oggetto desiderato che sia esso animato o inanimato (fonte di piacere “carnale” o sublimato) come condizione necessaria dell’esistenza stessa del desiderio e della sua soddisfazione. Altro punto centrale del pensiero dell’Autore è “Il desiderio che ama il lutto”, condizione necessaria di ogni processo trasformativo: un sentimento intenso di mancanza, la premonizione di una perdita grave, e insieme il desiderio, che è presentimento, di un ritrovamento, potenzialità di sperimentazione e esplorazione. Thanopulos conclude con un monito: La nostra società slitta in modo temibile verso la perdita del senso della responsabilità, il senso vero e proprio del limite, della misura; il desiderio dell’altro è allora funzione del nostro desiderio, e l’appagamento è più vicino alla saturazione del bisogno che al riconoscimento dell’altro.
Nella seconda relazione dal titolo: “Omogeneità ed eterogeneità del tempo presente” Maurizio Balsamo, Membro Ordinario con Funzioni di Training SPI-IPA, co-direttore della rivista “Frontiere della Psicoanalisi”, ha introdotto il concetto di confine come limite necessario per la costruzione dell’identità. In questa accezione è un concetto metastorico, che contiene anche un’organizzazione simbolica a cui far ricorso per trattare il disagio e l’angoscia di essere nel mondo: per dire ciò che si è, bisogna stabilire regole che indichino ciò che non si è. Balsamo cita esempi come le dinamiche interne al movimento LGBTQ per illustrare come in tutti i contesti, anche quelli che si definiscono “fluidi”, esistono dinamiche di esclusione: io non sono. Secondo l’Autore il tempo presente è caratterizzato da una accelerazione dei processi, da un desiderio illimitato e da un’espansione ipertrofica dell’Io con una conseguente crisi dei legami sociali. Nella sua relazione porta diverse citazioni, a partire da C. Lévi-Strauss, M. Focault, A. Green, J.B. Pontalis, G. Agamben e molti altri, a sostegno delle proprie tesi. Egli pone il tema del desiderio in una dialettica con la contemporaneità: oscillazione tra omogeneità ed eterogeneità che influenza la costruzione dei confini identitari e che se da un lato è fonte di trasformazioni dall’altro è causa di angoscia.
Nella terza relazione della mattinata Mavi Stanzione, Membro Ordinario SPI-IPA, con il suo lavoro “Tra soglia e infinito: desiderio, trasgressione e speranza” traccia la differenza tra confini (CUM FINIS, insieme alla fine) e frontiere come limite da attraversare, utilizzando molteplici suggestioni letterarie e filosofiche che descrivono la condizione “borderscape” come possibile metafora di un paesaggio di confine interno in continua evoluzione che riconosce l’interazione di varie identità e culture in uno spazio fluido. Secondo l’Autrice il confine è rigido mentre la frontiera è fluttuante, spazio di dialogo e di confronto. Anche la parola, così come il linguaggio e il pensiero fanno esperienza dei propri confini, per questo è necessario che la parola analitica si faccia poesia affinchè il simbolo non sia prigione della parola. Citando F. Riolo, ci ricorda che occorre riconsiderare alcuni concetti come l’abolizione del confine stabile tra oggetto e soggetto, tra conscio e inconscio. Stanzione considera il desiderio come motore dell’azione umana e della formazione dell’identità; fa riferimento al lavoro di Freud (1899) per discutere la relazione tra desiderio e identità, suggerendo che comprendere il proprio desiderio è fondamentale per l’autocoscienza: cita “il pensiero non è altro che il surrogato del desiderio, dato che nulla, all’infuori del desiderio, è in grado di mettere in moto il nostro apparato psichico”. Critica la tendenza moderna a perseguire un desiderio illimitato senza riconoscere l’importanza di limiti e confini. Infine discute la relazione tra speranza e desiderio, suggerendo che nonostante le sfide moderne e l’ascesa di politiche di esclusione, rimane uno spazio per la speranza radicato nel riconoscimento della nostra umanità condivisa. Questa speranza è legata alla possibilità di creare nuove forme di appartenenza che trascendono i confini tradizionali. L’autrice conclude con un invito ad abbracciare l’incertezza e la complessità, ricordando che il viaggio di esplorazione dell’identità, del desiderio e dell’appartenenza è tanto vitale quanto la destinazione da raggiungere.
Nel pomeriggio i lavori sono ripresi con Simona Argentieri, Membro Ordinario con Funzioni di Training AIPsi-IPA e la sua relazione “Ambiguità del desiderio: dal conflitto intrapsichico al bisogno di sicurezza”. La dimensione del desiderio viene interrogata partendo da una breve disamina storica del’ 68 quando il desiderio sessuale divenne materia di cui poter finalmente parlare creando così l’illusione che la liberalizzazione dei costumi potesse corrispondere ad una liquidazione della complessità del sessuale. L’Autrice esamina l’impatto che ha avuto sulla cultura e in particolare sulla psicoanalisi il concetto di desiderio nel post-sessantotto; in un clima di esaltazione, di eccesso di sublime e di astrazione, senza, purtroppo, lo sperato ritorno sul piano clinico. Argentieri resta convinta che l’antico presupposto che la psicoanalisi si regge su tre pilastri: la teoria, il metodo, la prassi terapeutica è tuttora fondante. Ed è l’equilibrio tra questi tre basamenti che mantiene solido l’impianto psicoanalitico. Fa poi una disamina del concetto di desiderio a partire da S. Freud, attraverso M. Klein, D. Winnicott, J. Lacan, con le ricadute dei diversi approcci clinici. Rispetto all’attualità, l’Autrice esprime la propria perplessità e mette in guardia contro la tendenza di tutti noi a spostare il vertice di osservazione verso la psico-sociologia: la tentazione è forte ma il metodo è fragile. Parallelamente nella pratica quotidiana si impoveriscono i nostri strumenti basilari quali: l’interpretazione di transfert e l’attenzione alla potenzialità strutturante del nodo edipico e della scena primaria (dall’etica, all’identità di genere, alla creatività). Rischiando, così, la deriva verso inerti “terapie di appoggio”, a cullare la protesta verso l’impossibile, a spese dell’impegno trasformativo specifico della psicoanalisi nella consapevolezza del principio di realtà, terapie che tentano di fare della psicoanalisi una sociologia dimenticando la natura clinica di questa disciplina. Secondo l’Autrice, non esistono davvero nuovi disagi quanto nuove difese dal disagio della sessualità che si appoggiano a nuovi modelli culturali. Conclude dicendo che oggi il quesito esistenziale di Amleto sembra spostato verso l’affermazione molto poco vitale di Bartleby, lo scrivano di Melville: “Preferirei di no”. Il desiderio non è un’opzione semplice, né la frustrazione è inevitabilmente il suo destino; semmai è un processo. E dobbiamo imparare a desiderare.
A seguire, la relazione di Paolo Cotrufo, Membro Ordinario SPI-IPA, Professore Ordinario di Psicologia Clinica Università Vanvitelli, Segretario Scientifico CNP, “Sessualità “Q” e cultura binaria” che tocca il tema delle contraddizioni tra la fluidità dell’identità sessuale e il binarismo culturale contemporaneo (giusto/sbagliato, vero/falso, aggressore/aggredito, woke/wasp, news/fake news…). Egli invita a riflettere su come la cultura, la psicoanalisi e la società possano interagire per promuovere una comprensione più profonda e inclusiva delle esperienze umane. Secondo l’Autore la sfida attuale è tra libertà e responsabilità, tra desiderio e limite, in un’epoca che tende a semplificare questioni molto complesse e in cui c’è una potente crisi dei garanti sociali e della autorità, paradossalmente, indicativa di una diminuzione della civiltà. Richiama al senso di colpa come elemento centrale nella formazione dell’Io e nella relazione con l’autorità, prodotto dell’introiezione di divieti esterni, e pone interrogativi importanti su come le persone affrontano le proprie pulsioni e desideri in un ambiente che sembra sempre più permissivo. Nell’immergersi nel mondo attuale Cotrufo utilizza varie citazioni prese a prestito dalla politica tra cui a titolo esemplificativo il discorso di K. Harris per la candidatura alla Convention democratica nell’agosto scorso in cui ha spinto sulla promozione del “NO LIMITS”:
“My advice to little girls everywhere: Dream with ambition and know that there are no limits to what you can be”. Nessun limite a ciò che puoi essere. Utilizzando la valorizzazione della “Q” nell’acronimo LGBTQ+ come simbolo di fluidità e interrogazione sull’identità sessuale, ovvero l’idea che la sessualità umana possa essere intrinsecamente “queer”, nel senso di indefinita ed eccentrica, ci riporta alla concezione freudiana della sessualità infantile, che è polimorfa e non soggetta a categorizzazioni rigide, ma viceversa all’apertura circa il proprio destino. Ma Freud, precisa l’Autore, considera lo sviluppo della civiltà come la capacità di repressione proprio della sessualità infantile, che qui è stata rappresentata con la “Q”. Il desiderio sarebbe quindi inizialmente queer, ovvero indefinito, e solo la sua frustrazione, posta dai limiti della civiltà, può rendere gli esseri umani cittadini e non barbari.
La giornata di sabato si è conclusa con l’intervento di Luigi Rinaldi, Membro Ordinario con Funzioni di Training SPI-IPA con una relazione dal titolo “Tre volti del desiderio contemporaneo: evanescente, indifferente, mutuo”. Discute la manifestazione del desiderio nell’epoca attuale con delle brevi illustrazioni cliniche che evidenziano lo scacco della capacità di desiderare in giovani adolescenti. Articola la sua relazione in tre punti, i tre volti del desiderio contemporaneo che si presentano sul divano dello psicoanalista: Il Desiderio Evanescente; Il Desiderio Indifferente; Il Desiderio Muto. Il primo tipo di desiderio è il più frequente nella pratica quotidiana dell’Autore ed è caratterizzato dalla rapida scomparsa di fronte alle difficoltà incontrate lungo il cammino che potrebbe portare alla sua realizzazione. Appannaggio della generazione Z, dei nativi digitali. Il secondo volto del desiderio, quello indifferente, è l’espressione della difficoltà a esprimere emozioni e sentimenti. Rinaldi, attraverso l’identificazione di un suo giovane paziente con Meursault, il protagonista de “Lo straniero” di Camus, riflette su un concetto chiave per comprendere il disagio giovanile contemporaneo: la fuga dal dolore ovvero il rifiuto o l’incapacità di affrontare anche la minima sofferenza, in una società che promuove la gratificazione immediata, rendendo difficile affrontare le frustrazioni e le difficoltà. Secondo l’Autore molti giovani crescono senza sviluppare strumenti emotivi per affrontare le inevitabili difficoltà proposte dalla vita. L’ultimo ritratto del desiderio è il desiderio muto, un desiderio che non trova parole per raccontarsi; all’origine di questa incapacità Rinaldi ipotizza un difetto nella relazione primaria e la carenza di un ambiente favorevole alla reverie, con la conseguente difficoltà a raggiungere l’”identità narrativa” di Ricoeur. Si sofferma sul concetto di “carestia del tempo” (Helmut Rosa) come limite per trovare quella sintonizzazione emotiva-relazionale necessaria all’educazione al desiderio. Conclude la sua riflessione sottolineando la necessità di un approccio integrato che coinvolga sia il piano individuale che quello pubblico. È fondamentale che i genitori e gli educatori promuovano una nuova alleanza tra desiderio e legge, incoraggiando i giovani a seguire le proprie aspirazioni. Inoltre, è essenziale sviluppare istituzioni educative che favoriscano una “pedagogia delle passioni”, in grado di stimolare il desiderio di giustizia, dignità e convivialità. Solo così si potrà contrastare l’aridità di una vita dominata dalla razionalità e dall’efficienza, permettendo agli individui di sentirsi vivi e autori della propria storia.
Nella mattina della domenica ha aperto i lavori la psicoanalista iraniana Gohar Homayoumpour, Membro APA, SPI, IPA, fondatrice e Past-President del Freudian Group di Tehran, con il suo “Radical Hope”, concetto mutuato da J. Lear nel suo libro “Radical Hope: Ethics in the Face of Cultural Devastation” e che l’Autrice colloca nel campo del lavoro del lutto. La speranza radicale è qui intesa come il rifiuto di piangere l’assenza che caratterizza il catastrofismo come dimensione interna dello psichismo, che porta a una regressione psicologica e a una perdita di connessione con il mondo. Per giungere a tale radicalità, occorre separarsi proprio da quelle radici che caratterizzano la dimensione dell’appartenenza. Questa sembra essere l’unica via per giungere ad una possibilità etica del pensiero. Homayoumpour
distingue tra speranza e speranza radicale. La prima è spesso legata a desideri illusori e a una ricerca di piacere e completezza, mentre la speranza radicale si radica, appunto, in un’etica della vita che accetta la perdita e il dolore come parte integrante dell’esperienza umana. In un certo senso la nozione di speranza radicale è quella che è incorporata nella capacità di sognare, mantenuta nonostante i traumi socio-politici imposti, come in Iran ad esempio. A questo proposito l’Autrice ci richiama ad una esortazione significativa, ispirandosi ad una frase del filosofo Zizek: quella di non cedere alla tentazione di una troppo facile “empatia” verso la condizione della donna iraniana cosi come quella verso tutte le vittime di condizioni avverse, quanto piuttosto invita a tentare un vero “apprendimento” da quelle condizioni. Mette a fuoco come la rivolta femminile in Iran, riesca a mantenere viva la speranza radicale, a sognare e a creare legami significativi nonostante le avversità. Inoltre, affronta la questione della decadenza culturale e sociale, evidenziando come la mancanza di una visione etica possa portare a un crollo dei valori, del desiderio e del senso del limite. La speranza radicale è vista come un antidoto alla pulsione di morte, un impulso verso la vita e la comunità. Homayounpour conclude che la vera libertà e la possibilità di vivere pienamente risiedono nella nostra capacità di connetterci con gli altri e di affrontare le sfide insieme, creando una nuova narrativa di speranza e di vita, permettendoci di sognare in tempi di crisi.
A seguire Lorena Preta, Membro Ordinario SPI-IPA, Responsabile del Gruppo Internazionale Geografie della Psicoanalisi, con le sue “Forme attuali dell’immaginario sociale. La costruzione di un campo allucinatorio” mostra una video-installazione dell’artista Pierre Huyghe (Liminal, Dogana di Venezia) nella quale una scimmia ammaestrata con una maschera dalle sembianze umane si aggira in una casa abbandonata in un villaggio del Giappone dopo l’esplosione della centrale nucleare Fukushima, evocando uno scenario perturbante di un umano/non umano indistinguibile. Huyghe invita il visitatore a riflettere sulla propria posizione all’interno di questo ecosistema. Siamo testimoni di un processo che non possiamo controllare, e la nostra presenza diventa un catalizzatore per il cambiamento. Tuttavia, questa “inconsapevolezza” dei processi in atto solleva interrogativi etici sulla nostra responsabilità e sul nostro ruolo in un mondo in cui le dinamiche ecologiche e sociali sono sempre più interconnesse. La riflessione sulla comunicazione virtuale e sull’ibridazione culturale evidenzia come le esperienze siano sempre più plasmate da influenze esterne. La pandemia ha accentuato la consapevolezza di questa contaminazione e ha portato a una reazione ambivalente: da un lato, il desiderio di connessione e, dall’altro, la paura della perdita di identità e della diversità. L’idea di una “irriducibilità dell’alterità” sottolinea la necessità di riconoscere e ospitare in noi parti di alterità che non possiamo assimilare. Questo riconoscimento è cruciale in un contesto migratorio e multiculturale, dove le differenze devono essere accolte e rispettate come parte integrante della nostra umanità. Utilizzando un linguaggio Bioniano, l’Autrice parla dell’impossibilità a far diventare simbolica l’esperienza contemporanea a causa di una crisi della rappresentazione; l’analisi dei fenomeni allucinatori pone molteplici interrogativi sul nostro modo di percepire e interpretare la realtà in un’era post-umanista. Secondo l’Autrice è necessario mantenere viva una “pulsione di umanità” per analizzare il rapporto tra l’umano e il non umano, l’interazione tra l’individuo e l’ambiente e le sfide emergenti nell’era della tecnologia e della crisi ecologica, in un campo di continue tensioni e trasformazioni, in cui l’umano si confronta con l’alterità, la tecnologia e i processi di autogenerazione.
I lavori sono stati chiusi da Virginia De Micco, Membro Ordinario SPI-IPA, Coordinatore Gruppo PER (Psicoanalisti Europei per i Rifugiati) con una relazione dal titolo: “Catene di Thanatos: il desiderio al negativo tra ideali di purezza e costruzioni del nemico”. Richiama l’intervento di Gohar Homayoumpour sulla speranza radicale come foriera di cambiamento per contrapporre ad essa un cambiamento solo apparente perché attende a quel ritorno della coazione a ripetere della distruttività. Fucine di odio e di guerre sanguinarie nel cuore dell’Europa e del mondo segnalano quel piacere inconscio collettivo delle catene di Thanatos. D’altro canto le catene di Eros che tengono insieme il gruppo sociale cedono di fronte alle identificazioni di massa che esprimono una natura estrinsecamente distruttiva. Lo scopo dell’intervento dell’Autrice è quello di riflettere su come le catene di Eros che rappresentano l’organizzatore psichico per eccellenza, che legano il corpo individuale e sociale e producono il senso della soggettività, si articolano contemporaneamente con le catene di Thanatos, gruppi funzionali antagonisti, di valenza slegante e di disimpasto pulsionale, sui legami affettivi relazionali e simbolici. Attacco al legame e attacco al pensiero. De Micco ci parla della condizione intrapsichica del migrato/meticcio che mette in crisi lo statuto incerto dell’identità fragile dello psichismo e della costruzione del nemico come alterità e terzietà; in questa accezione il nemico è sempre presente in noi in una dimensione di estraneità. Il migrante assume allora la forma di un doppio deformato, figura indispensabile per la proiezione dell’estraneità, nodo cruciale della realtà sociale contemporanea e dimensione interna dell’insopportabile e dell’inaccettabile. L’Autrice fa un appello alla psicoanalisi come disciplina che, a causa della sua portata rivoluzionaria, può non asservirsi alla cultura dominante che procede per violente dissociazioni ed esclusioni.
La discussione ha rispecchiato la complessità dei temi trattati, toccando aspetti quali: il rischio della scomparsa del pre-conscio nella cultura psicoanalitica; l’istantaneità degli scambi nella nostra società che non lascia spazio a aree di scambio elaborativo; la produzione incessante di “Immagini che non sognano” come fanno invece le immagini oniriche; la tendenza a neutralizzare le differenze; le fantasie di auto-generazione; la dimensione dell’Io che vorrebbe escludere l’inconscio e infine il dilagare di una eternizzazione del desiderio.
Fulvia Grimaldi
Marinella Linardos
Associazione Italiana di Psicoanalisi A.I.Psi/I.P.A