ERRECONZERO
from alarm to awakening
di Andrea Ferrante
from alarm to awakening
di Andrea Ferrante
Erreconzero – From alarm to awakening
Andrea Ferrante – regista
Sceneggiatura: Andrea Ferrante, Giorgio Vignali, Vito Schirone
Produzione: Film Found Famili, Novi New, Apulia Film Commission
Erreconzero è un docufilm che sin dai primi fotogrammi del trailer dichiara tutto sè stesso, di quanto forte sarà l’intensità emotiva che accompagnerà l’intera pellicola, ogni suono, ogni sguardo, ogni gesto e ogni parola. Pochi istanti e si è catapultati nel marzo 2020, quando la vita di tutto il mondo cambiò, perché s-travolta da un’ondata di angoscia e morte in cui l’unico salvagente possibile era l’isolamento e tagliare ogni legame con la vita fatta di relazioni.
Quando i contatti umani si fanno rischiosi tutto diventa surreale, si entra in una bolla nella quale siamo rimasti per tanto tempo, troppo.
Erreconzero è stato l’unico riferimento, l’unico indice, l’unico appiglio usato, alle volte, senza comprenderne a pieno il senso, fatto proprio, ma solo sulla fiducia o per sentito dire, un numero che segnava l’approssimarsi o l’allontanarsi della libertà. Da un indice di propagazione del virus è dipesa la vita degli isolati in casa e la morte dei contagiati negli ospedali.
Erreconzero è oggi il titolo di questo docufilm di 80 minuti, ma negli anni dell’emergenza sanitaria dovuta alla propagazione del virus, per la popolazione mondiale, è stato un numero troppo alto e per troppo tempo, mietitore di momenti di vita di milioni di persone.
Una sincerità disarmante e rispettosa nelle riprese che non risparmia sondini, lividi, sudore, quello di medici e infermieri che cercano ogni istante di salvare vite, respiri ovattati dietro le mascherine, e quelli in affanno dei pazienti, l’assordante rumore nelle terapie intensive, sterni sbuffanti, dolore e morte.
Ogni immagine apre ferite e rievoca ricordi, e sebbene siano passati anni, le testimonianze catapultano in un clima angosciante, di ritrovata paura, di preoccupazione e incertezza.
Un’onda emotiva tale che ha lasciato una cicatrice traumatica che ci si illude o ci si vuole illudere di aver dimenticato, ma è sufficiente ascoltare il suono delle ambulanze, o la voce registrata del presidente del consiglio per avvertire ancora dentro di noi il dolore che si è provato, il ricordo esatto di quelle settimane, i bollettini giornalieri, le immagini, la paura del contagio, la voglia di gridare e scrivere ovunque, negando la realtà: “Andrà tutto bene”.
L’istinto, nei primi lunghi minuti del docufilm è quello di chiudere gli occhi, così come accade per ogni fotogramma catturato nelle terapie intensive, nelle corsie degli ospedali, per non incontrare lo sguardo dei pazienti e del personale medico, per non vedere aghi, dita, c-pap, sangue, respiri faticosi, per non ricordare vividi i giorni, le settimane e i mesi di prigionia e i bollettini di morte stando chiusi in casa.
La visione è accompagnata da una costante pelle d’oca, viene raccontato il Covid da una prospettiva prismatica, non solo i pazienti, non solo i medici e gli infermieri, ma la gente comune, i lavoratori, gli stranieri, i fuorisede rientrati dopo percorsi farraginosi tra treni e aerei, tacciati di portare il virus a casa. I politici, le testimonianze toccanti di chi doveva essere forte e doveva sapere cosa fare quando nessuno sapeva davvero cosa fosse utile fare. I bambini, le famiglie, il tempo da occupare in attività, il fare la spesa, diventato poi un procacciamento di cibo, giochi, film, studio.
Storie uniche e diverse ma universali in cui ognuno rivede, risente e rievoca la propria esperienza di quei lunghi mesi. Chi è stato graziato, chi ha attraversato l’inferno, chi non è arrivato alla fine, chi è sopravvissuto ma porta ancora le tracce di questo evento distruttivo sul corpo e nell’anima. I visi dalle finestre, i balli sui balconi, i concerti improvvisati, le lunghe code per la spesa mentre un esercito di medici e infermieri lottava contro un nemico invisibile, sconosciuto e aggressivo, impietoso e infido.
Erreconzero, un indice, un simbolo, un ricordo di una lunga fase della vita mondiale che non può e non deve essere dimenticata perché se la vita porta anche dolore, questo dolore non deve avere tutto lo spazio ma va trasformato in altro. È proprio da questo dolore che nasce l’idea del documentario, dall’impatto violento dell’evento e dall’esigenza di non fermarsi, dall’urgenza di raccontare quello che stava accadendo a tutti, dall’essere attore e regista allo stesso tempo di una storia comune e condivisa che non doveva vincere su tutti i fronti. E quando tutto diventa troppo difficile da digerire, quando si tocca il fondo, bisogna trovare un modo di padroneggiare l’impossibile e l’imponderabile.
Andrea Ferrante, regista nella vita, decide di uscire non senza rischi, e di dirigere un evento inedito, senza copione, se non quello che di volta in volta si presenta a soggetto a scena aperta, padroneggiando gli strumenti tecnici della ripresa e del montaggio; osserva il mondo per come stava vivendo attimo per attimo, facendo parte lui stesso dello scenario, e dove non può arrivare, chiede ad altri colleghi e amici di registrare e di inviargli il materiale. Il suo sguardo, così, arriva in tutto il mondo e monta un puzzle così vario ma così comune, perché il Covid democraticamente ha colpito tutti ma in ogni dove lo si è affrontato con gli strumenti e i mezzi tradizionali e soliti dei luoghi.
Davanti a qualcosa di incomprensibile si può soccombere o dare comunque un senso, e quale senso migliore se non lasciare allo sguardo il compito di vedere, sentire e registrare? Davanti all’impotenza subita, si tenta di padroneggiare attivamente ciò che accade per meglio comprenderlo e una elaborazione degli eventi, ancor più se così distruttivi e così traumatici, è resa possibile se si trasformano da qualcosa di sconosciuto e terribile in altro che può essere accettato, ricordato e psichicamente elaborato. Dare una forma, fornire un contenitore visivo nel caso del docufilm, o verbale come nelle poesie e nella letteratura, o figurativo come nelle arti scultoree o grafiche, o sonoro come nella musica, permette di creare uno scudo protettivo contro gli stimoli che urtano violentemente contro la psiche.
L’emergenza sanitaria dal 2020 ha fatto irruzione nella vita di tutti e ognuno ha reagito con gli strumenti a disposizione o dando spazio alla propria creatività con l’intento di sopravvivere. La creatività è uno strumento utile a superare il conflitto psichico tra ciò che è presente nell’inconscio, i nostri desideri e le nostre paure, e la realtà esterna. La creatività prende vita dalla capacità dell’individuo di trasformare i propri impulsi in qualcosa di concreto, ed è così che ha preso vita questo docufilm, toccante e intenso.
La colonna sonora, creata ad hoc, accompagna ogni scena amplificando il senso e completando il significato del messaggio, e così solo una musica tecno può esprimere la concitazione dei momenti più bui dell’emergenza sanitaria, rendendo assolutamente possibile entrare nelle immagini e vivere ancora una volta le stesse sensazioni di allora.
Toccanti le testimonianze raccolte, tra tutte quelle dell’infermiera Brigida Matera che sceglie di ignorare il timore del contagio, e di tenere la mano ad ogni paziente negli ultimi attimi di vita terrena, rivedendo in ognuno di loro il proprio nonno, padre, sorella senza volerli lasciare soli; il Dott. Franco Mastroianni che racconta trattenendo la disperazione sul bordo dei suoi occhi colmi di emozione e il viso rigato da lacrime composte, ogni attimo di vita vissuta nell’emergenza costante di vite umane da salvare, accompagnare alla morte o restituire alla vita.
Cosa resta da fare? Non si può dimenticare né fermarsi ad una vuota celebrazione periodica. Affinché non resti solo un trauma, l’emergenza sanitaria e gli effetti della stessa devono riuscire a trovare uno spazio di pensiero possibile. È necessario un padroneggiamento che sia in grado di legare psichicamente la massa di stimoli che hanno fatto irruzione nella vita concreta e psichica di ciascuno, e che trasformi tutto in prudenza, rispetto, collaborazione e riconoscimento dell’importanza che ha la vita, che non è scontata, che va celebrata e non sprecata.
Al termine della visione in sala un bambino chiede “ma se è successo davvero, non succederà più?!”, la mamma lo accarezza e gli risponde “se dovesse accadere di nuovo, ci faremo trovare più preparati, ma scegliamo di vivere e adesso abbracciamoci”.
Un sentito grazie al regista Andrea Ferrante che ha saputo cucire una trama complicata di voci, immagini e suoni creando un tessuto prezioso da conservare e lasciare in eredità alle generazioni future, e da rivedere per non dimenticare e non perdere mai la speranza e la fiducia nel futuro.
Alba Rizzo, psicoanalista A.I.Psi.- Associazione Italiana di Psicoanalisi – Roma