Saltburn di Emerald Fennell
Il film e molto coinvolgente ed intenso, bella la fotografia di Linus Sandgren e perfetta la scenografia di Suzie Davies come i costumi di Sophie Canale.
La storia ha moltissimi rimandi ad altri film, o libri come Ritorno a Brideshead, ci sono citazioni di scene cult ad esempio quando il protagonista guarda dallo specchio, alle sue spalle, il mondo ricco che non gli appartiene, ricorda Il Servo di Losey. È stato citato anche Teorema ma non mi sembra che ci siano rimandi alla poetica del film di Pasolini. Comunque il film conserva un suo fascino originale anche se in qualche snodo narrativo la regista tende a spiegare troppo così alleggerendo alcuni aspetti perturbanti della storia.
E’ la storia di un ragazzo Oliver della middle class, il grandissimo Barry Keoghan, che sentendosi “vuoto di sé “si trasforma in una sorta di vampiro che a poco a poco si nutre del sangue della famiglia aristocratica del suo compagno di Universitá Felix, uno Jacob Elordi bello ma non sempre dinamico Amico non amato ma invidiato, Olivier vuole diventare l’altro, rimanendo se stesso, quindi deve divorarlo dall’interno, come farà con tutta la famiglia dell’amico manipolando ognuno dei componenti piegandoli al proprio desiderio.
Il film parte inizialmente ad Oxford con i tipici meccanismi gruppali adolescenziali per poi trasferirsi nella grande tenuta di famiglia , dove Oliver entra lentamente per poi assorbire tutto. Come scrive Masud Khan il perverso tenta di trasformare il passivo in attivo e coinvolge l’altro in una forma di apparente intimità che in realtà è possesso e svuotamento dell’altro. E interessante che la regista spesso mostra Oliver a torace nudo, o nella famosa scena finale ballare a corpo nudo come se fosse finalmente ri-nato, così da attribuire alla presenza del corpo del ragazzo una energia primordiale che si contrappone all’inesistenza delle forme vacue e mortifere dei nobili. Il corpo come espressione di un Es arcaico che allucina vitalità e dinamica per i nobili ma che in realtà ha bisogno della vita altrui per vivere e illude i componenti della famiglia di essere amati, di esistere, liberati da una condizione di non vita. Solo il maggiordomo, Paul Rhys, ha una funzione di mediatore tra il dentro ed il fuori. Forse Oliver ha vissuto un fallimento dell’ambiente di base, mirabile la scena con la sua famiglia quando si svelano le menzogne sulla sua òrigine, e quindi deve divorare e inglobare il mondo dei nobili cosi da investire e distruggere gli oggetti con una rabbia fino ad allora scissa. È il triondo dell’onnipotenza infantile distruttiva.
Il leccare lo sperma nella vasca di Felix o il sangue mestruale della sorella dell’amico Venetia, Alison Oliver, sembra avere a che fare con una spinta a mettersi dentro pezzi di corpo e oggetti parziali dell’altro in assenza di una struttura identitaria di base.
L’odio e la rabbia si erotizzano, ma tutto è dominato della pulsione di morte, quindi ogni rapporto con l’altro ha come scopo la distruzione.
Attori tutti bravi tra cui spicca, accanto allo stratosferico Keoghan una grande Rosamund Pike, la madre, e Richard E.Grant padre vacuo e ritualistico.
Da vedere con qualche perplessità su alcune snodi troppo raccontati ma l’interpretazione del protagonista vale da sola l’intero film.