Per molti anni, Lavarone fu meta prediletta da Sigmund Freud, luogo in cui altri psicoanalisti, come Otto Rank, Sandor Ferenczi e Ernest Jones si recavano a fargli visita, passeggiando per i sentieri montani, immagino io alla ricerca di una musicalità, esterna ed interna, di un accordo condiviso, ma anche individuale e non sempre armonico. Amici, colleghi, allievi di Sigmund Freud, in gruppo nel creare qualcosa di sonoramente piacevole, ma anche separati, ognuno alla ricerca della propria identità, Ed è proprio in uno dei suoi soggiorni a Lavarone, che Sigmund Freud si dedicò alla scrittura dell’opera “Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wihelm Jensen”, in seguito al racconto “Gradiva” di Jensen che gli era stato segnalato da Carl Gustav Jung. La novella di Jensen ruota proprio attorno ad un basso rilevo su cui è rappresentata una donna mentre cammina, raffigurazione simbolo dell’Associazione Italiana di Psicoanalisi. Guardando il basso rilevo, ho sempre pensato all’andatura di questa donna, chissà se lenta, incerta o maestosa. Ai miei occhi (e al mio sentire interno) sicuramente intonata, nel volto, nei drappeggi dell’abito, nel movimento della mano, nell’arco del piede che ci induce a vederla in cammino. Una sinfonia di un singolo, una rappresentazione armonica, di lieve grazia, che nasconde nei miei vissuti, però, anchee aree perturbanti, inquiete, incerte, non conosciute. A partire da questa immagine, vi porto con me nelle note del Convegno, che è iniziato proprio con un musicista, Daniele Schon, violoncellista e direttore dell’Istituto di Neuroscienze dei Sistemi di Marsiglia e con il suo libro: “Quattro. Stagioni, voci, quarti, mani”. Parole e musica si sono incrociate, si sono rincorse, sono state ascoltate. Ne sono emersi duetti, quartetti, brani d’orchestra piuttosto intensi, che hanno risuonato nei partecipanti, in modo diverso, entrando, uscendo, sostando, in varie casse di risonanza, lasciano un segno, anche silenzioso. I temi del rispetto e della risonanza sono stati il filo che ha permesso all’ascoltatore di viaggiare in vari territori, umani e non umani. Molte immagini sono passate davanti agli occhi di coloro che ascoltavano: archetti roventi di vitalità, ma anche languidi e tenui, il senso della giustizia nell’incontro con l’altro, l’ambiente che ci circonda, con i suoi misteri, le sue meraviglie, l’inafferrabile equilibro nel quale siamo immersi, l’identità, lo specchio che deforma, che illude, che confronta con il reale. E molti altri suoni sono arrivati, anche stridenti, a volte, ma profondamente appassionanti. Musica, lettura, pensiero, che si intrecciano, si inseguono, a volte si scontrano, come le nuvole nel cielo montano per gli occhi di un bambino che sa dare libero spazio alle fantasie interne. Per l’AIPsi, la nostra collega Jona Kozdine ha partecipato alla creazione della sinfonia con una relazione dal titolo “E se Enea è una donna”. Rispetto e risonanza nel lavoro dell’analista. Quali significati? Cosa intendiamo quando pensiamo alla capacità dell’analista di comprendere l’altro? Somiglianze, assonanze, ci permettono di avvicinarci? Oppure altri sono gli strumenti per creare un nuovo accordo? Accordo che nasce dall’incontro, necessariamente stonato, dissonante, che necessita sempre di fatica, asperità, stonature. Quale la funzione dell’interpretazione di transfert se non avvicinare il paziente alle sue stonature, ai suoi conflitti, alle sue ambiguità? Avendo il coraggio di spostarci dall’illusoria sintonia che possiamo, troppo facilmente, provare. La psicoanalisi, strada per accompagnare l’altro nella ricerca della propria melodia, senza offrire accordi già provati, intonati, che facilitino la composizione. Come diventare soggetti della propria storia, allora? Sentirsi in prossimità di qualcuno che non è fuso, ma cammina accanto, senza eliminare pericoli, conflitti, confusioni, come nel caso di cui ha parlato Jona Kozdine. In un romanzo a me molto caro leggo queste parole: “se non sei confuso con un altro dovrai andare a cercarlo per trovarlo. Non si può essere capiti quanto si vorrebbe perché chiunque è altro rispetto a noi stessi, c’è un lavoro da fare ogni volta, ogni singola volta…l’incanto di essere una sola cosa con un’altra persona è un’illusione. La tua illusione è un abisso. Ti lancia, credi di poter volare. Noi umani invece camminiamo, zoppichiamo”. E la musica, ma anche la relazione umana, permettono di entrare in questi territori, quelli dell’incontro primario, dell’incontro adulto, dell’incontro con la sofferenza, propria e dell’altro. L’eroe Enea, che affronta pericoli, dolori, sconfitte, paure, consegnerà le spoglie del figlio del tiranno, Lauso, intervenuto in sua difesa, commosso per il coraggio del giovane. Trionfo e pietà, composte nella stessa mente. La psicoanalisi che permette l’incontro tra due menti, nel ritmo delle quattro sedute, non ci allontana dai temi crudeli della separazione e della fine, ma ci consente, lentamente, di godere del suono della vita, consapevoli che l’armonia è limitata, deve essere cercata, ogni giorno, con fatica, senza dimenticare i limiti e le impossibilità, lo strato roccioso, così tanto caro a Sigmund Freud. Il lavoro dello psicoanalista, una sonata a quattro mani, non ha spartito da seguire, incespica, sbaglia, stona, si ferma. E si confronta con dissintonie, spiacevoli, ma inevitabili. E con queste immagini – e suoni – nella mente, che mi auguro abbiano incuriosito il lettore, scrivo in questo breve spartito anche la mia speranza, per l’anno prossimo, di poter essere a Lavarone, in ascolto delle melodie, tonali, atonali e delle pause, che risuoneranno dentro di me.
Silvia Cimino
Segretario Scientifico Associazione Italiana di Psicoanalisi – AIPsi