The Substance
Un film di Coralie Fargeat, con Demi Moore , Margaret Qualley , Dennis Quaid , Hugo Diego Garcia
Un film interessante per i temi trattati soprattutto nella prima parte che però perde di intensità nel finale diventando splatter e quindi, in qualche maniera rassicurante perché la drammaticità dei vissuti si trasforma in fumetto.
Film girato con grande stile e cura della forma, fotografia di Benjamin Krakus, scenografia splendida di Cecilia Blom costumi di Emmanuelle Youchnovsk. La regista, anche sceneggiatrice, fa’ molti rimandi e citazioni a film come “Viale del Tramonto” di Billy Wilder “Eva contro Eva” di Joseph L. Mankiewicz, e a registi Kubrick, Lynch, Hitchcock, Carpenter, Cronenberg . Oltre a tutta la letteratura sul tema del”doppio”.
La “caducità” della vita e l’inacettabilità della stessa e il punto centrale della storia. Elisabeth, una bravissima Demi Moore, arrivata ai 50 anni è licenziata dal programma televisivo di aerobica che conduceva da un becero dirigente Harvey ( nomen-omen) bravo Dennis Quaid. La protagonista non regge al rifiuto e alla frustrazione e affidandosi ad alcuni scienzati, riproduce per partogenesi una sua parte piu giovane e bella, Margaret Qualley, bellissima ma poco vitale. Come se la ferita narcisistica fosse così insopportabile da rendere vana ed inutile l’esistere , producendo quindi una fuga in un delirio di rinascita e sdoppiamento. Tema oggi interessante visto che il narcisismo, il culto dell’immagine, l’uso del corpo, soprattutto quello femminile, sono usati come antidoto alla angoscia di morte, quindi anche l’angoscia di vivere. Prevale così il diniego, in senso freudiano, dell’unica certezza che gli esseri umani hanno cioè la finitezza della propria vita. Un’ accanimento maniacale a voler essere per “sempre giovani”, nell’illusione onnipotente di rendere inesistente il tempo, che produce ogni tipo eccessi, negazioni, scissioni nella vita quotidiana. A partire dalla insistenza nel ricorrere alla chirurgia estetica , fenomeno prima che riguardava solo il femminile ma che oggi coinvolge anche gli uomini.
Il corpo diventa “un’oggetto” non integrato, spesso dissociato, usato o negato a seconda delle circostanze. Anche il voler/dover avere figli a tutti i costi anche in età avanzata, attraverso l’uso e lo sfruttamento del corpo femminile soprattutto di chi ha bisogno, sempre giustificato con ambiguità e ipocrisia e con un attacco invidioso alla generatività femminile.Tutto sostenuto dal potere dominante che ipnotizza e seduce le persone pur di allontanarle dalla possibilita di “esistere realmente” che significa riconoscere di avere dei limiti, il passare del tempo, l’accettazione anche delle frustrazioni, il riconoscimento di sè. Oggi persino le dolorose crisi di identità vengono trattate con interventi chirurgici prematuri o farmaci bloccanti lo sviluppo senza nessuna attenzione al dolore e alla problematica del singolo/a. Prevale una semplificazione che a volte diventa vera e propria distruttività di un percorso, seppur difficile e travagliato, per approdare ad una possibile identità propria e non decisa con onnipotenza da altri che si raporesentano come neo-creatori quasi divini.
The Substance è un film sulla solitudine in cui ognuno è costretto a vivere, sul sentimento di disvalore e di incertezza identitaria di questi tempi. Le riprese degli interni, splendidi, sottolineano ambienti belli ma freddi e vuoti senza “calore”, con corridoi lunghissimi e strettissimi per evidenziare la distanza dal mondo. Sono quadi come uteri infiniti che non permettano di nascere. Le camere sono come grandi incubatrici, separate dalla vita, in cui ci sono solo megaschermi o cartelloni di pubblicità che dall’esterno entrano nell’interno, rimandando immagini prive di dinamica vitale. Il perturbante freudiano è continuamente presente, così come una societa prevalentemente voyeuristica ed un culto della giovinezza maniacale, quindi del non- esistere realmente, di non avere una storia. Gli uomini, nel film, sono ridicoli quasi macchiettistici , forse anche troppo, tanto da rendere meno incisiva la critica sullo sguardo maschilista, che, ahimè, alcune donne hanno assorbito, nonostante le conquiste del movimento femminista. Ma il vero tema è la paura di non avere significato senza un momento di notorietà quale esso sia, di esistere almeno per un istante anche se eccitatoriamente spesso in maniera solo evacuativa. Il terrore dell’invecchiamento e della morte è predominante.
Peccato che la regista non sia riuscita ad approfondire questi temi, nella seconda parte, scegliendo una strada piu facile e comunque tranquilizzante. Nel finale c’e anche un moralismo forse troppo compiacente che limita la possibilità di contro- identificazioni e così di riconoscersi in quei meccanismi disumanizzanti e di mettere a distanza, assolutoriamente,”la mostruosità” che invece può appartenere a tutti.
Un film da vedere a metà